INTRODUZIONE: QUANDO “L’OCCHIALE DEL GIUDICE È DIFETTOSO” 1 . Non può sfuggire all’osservatore che il numero di liti in cui la c.t.u. svolge un ruolo decisivo sia non solo elevato, ma anche in continua crescita, come testimonia l’esperienza quotidiana di ciascun operatore del processo, tant’è che, si è detto, in molti casi «il processo lo fanno i c.t.u. ed i c.t.p. piuttosto che giudice ed avvocati»2 . La progressiva estensione dei casi in cui per la decisione della lite è necessario il ricorso all’apporto del c.t.u. è direttamente collegabile all’evoluzione profonda verificatasi negli ultimi decenni nelle diverse branche del sapere scientifico, evoluzione che rende sempre più frequente la necessità di ricorrere a * Il presente contributo costituisce una rielaborazione della relazione tenuta al corso per c.t.u. organizzato dall’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Rimini nel 2010. **Il presente contributo è stato oggetto di positiva valutazione da parte del Comitato Scientifico. 1 Il riferimento è all’icastica espressione utilizzata da Piero Calamandrei, e ripresa in uno dei più lucidi ed utili contributi sul tema: Rossetti, Il C.T.U. (“l’occhiale del giudice”), Milano, 2012. 2 Plenteda, La responsabilità civile del consulente tecnico d’ufficio, Resp. civ., 2007, 04, 363. conoscenze che non rientrano nel c.d. sapere dell’uomo medio e quindi del giudice3 . Anche l’attenzione del legislatore testimonia la sempre maggiore consapevolezza circa l’importanza di questo strumento. Si pensi alla riforma del 20054 che ha introdotto l’art. 696 bis c.p.c., la cosiddetta c.t.u. conciliativa, nonché le positive novità apportate agli artt. 191 e 195 c.p.c. dalla l. 18 giugno 2009, n. 69 e quindi alla vera e propria “procedimentalizzazione” dell’istituto della c.t.u. D’altro canto, occorre considerare la progressiva estensione dell’area della responsabilità civile in generale e dei professionisti in particolare, riflesso della tendenza generale a pretendere una tutela risarcitoria per la lesione di qualsivoglia posizione giuridica soggettiva, per qualunque tipo di pregiudizio, fino al punto di constatare la «mutazione genetica della figura del 3 Taruffo, Senso comune, esperienza e scienza nel ragionamento del giudice, Riv. trim. dir. e proc. civ., 2001, 687. 4 l. 14 maggio 2005, n. 80, conversione del d.l. 14 marzo 2005, n. 35. LA RESPONSABILITÀ CIVILE DEL C.T.U. EX ART. 64 C.P.C.: PROBLEMI E PROSPETTIVE (*) (**) Ivan Bagli Fascicolo n. 1/2016 www.ilforomalatestiano.it Pag. 2 di 13 professionista, un tempo genius loci ottocentesco, oggi ambita preda risarcitoria»5 . Nonostante ciò, il tema in oggetto è stato piuttosto trascurato fino a qualche anno fa, vista la scarsità di pronunce6 e la ritenuta difficoltà ad ipotizzare tale responsabilità in concreto. Qualche autore ha parlato di “dimenticanza” di tale responsabilità da parte degli avvocati7 , ed una relazione sul tema è stata intitolata «Le (poche) speranze di successo della cause di danno contro il CTU»8 . Come si cercherà di illustrare nel presente scritto, tale esiguo numero di applicazioni giurisprudenziali dell’art. 64 c.p.c. è verosimilmente dovuto alla ricostruzione teorica che si è data di tale disciplina nei suoi profili essenziali, ricostruzione meritevole di vaglio critico. Nel collocare il tema in uno scenario più ampio vi è poi da tenere in considerazione anche il profilo della responsabilità dello Stato per eccessiva durata dei processi, per violazione cioè dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (CEDU9 ). Il riferimento è quindi anche alla l. 24 maggio 2001, n. 89 (c.d. legge Pinto), ed al grande numero di casi in cui il Ministero della Giustizia è condannato al risarcimento dei danni per eccessiva durata dei 5 Cass, sez. III, 16 ottobre 2007, n. 21619. 6 Secondo Romagnoli-Bona, Anche l’esperto risponde: la responsabilità civile del c.t.u., Danno e resp., 2008, 3, 253 i precedenti editi di responsabilità del consulente sarebbero soltanto tre nel vigore del codice di procedura civile del 1940. 7 Romagnoli-Bona, Anche l’esperto risponde, cit., 253. 8 Di Marzio, Persona e Danno, www.personaedanno.it, 1 dicembre 2006. 9 Adottata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva in Italia con l. 4 agosto 1955, n. 848. processi. E’ stata infatti in diverse sedi sottolineata l’incidenza, sulla durata del processo, dei fattori in qualche modo legati all’area della consulenza. Per esempio, il Dossier nazionale sui consulenti tecnici d’ufficio10, individua nella c.t.u. uno dei fattori di maggiore rilevanza per i tempi del processo. Tra gli esempi citati ricordiamo il mancato deposito della c.t.u. nel termine assegnato, la sostituzione del consulente, l’eccessivo ricorso alle proroghe. A riprova del collegamento tra i suddetti temi e quindi del possibile coinvolgimento nel contenzioso Legge Pinto, si veda C. Conti sez. giurisd. Toscana 22 maggio 2008, n. 360 (Banca dati delle sentenze della Corte dei Conti), portante la condanna di un consulente d’ufficio a rifondere al Ministero della Giustizia quanto da questi pagato a titolo di equa riparazione ad un cittadino (in base alla l. n. 89 del 2001) per l’eccessiva durata di un processo, durata su cui – hanno ritenuto i giudici contabili – aveva sensibilmente inciso la negligenza del c.t.u. Nello stesso senso si vedano le attenzioni riservate alla c.t.u. nell’intervento dedicato dal già Presidente del Tribunale di Torino11 alle modalità pratiche di gestione del processo ed alla incidenza delle medesime sulla sua durata. Ovviamente, le ipotesi di responsabilità non sono di certo circoscritte al solo rallentamento del 10 Introna-Rubini, Dossier Nazionale sui consulenti tecnici d’ufficio, Riv. it. med. leg., 2002, XXIV, 831- 843. 11 Barbuto, L’emergenza Pinto e l’esperienza del Tribunale di Torino, Rass. forense, 2008, I, 41. Fascicolo n. 1/2016 www.ilforomalatestiano.it Pag. 3 di 13 processo. Vi è infatti tutto l’ampio ventaglio di casi in cui il consulente, che è anche pubblico ufficiale12, può incorrere in una condotta colposa, o dolosa, nello svolgimento delle operazioni peritali, vista la grande complessità delle attività che gli sono devolute e delle elevate competenze che gli sono richieste per adempiere in modo diligente ai suoi doveri13. Da ultimo si deve evidenziare anche la maggiore consapevolezza maturata negli ultimi anni circa i limiti e le insidie insite nell’apporto del sapere scientifico e tecnico al processo, civile o penale che sia, e quindi alla decisione del giudice. Il riferimento è alla «generale fallibilità e mancanza di certezza della scienza; la naturale tendenza all’errore nella prassi scientifica (…) il superamento della ingenua visione positivista ancorata al dogma della dicotomia fatti-valori e la acquisita consapevolezza della non neutralità della scienza rispetto ai valori»14. L’insieme di questi fattori potrebbe nel prossimo futuro rendere il tema della responsabilità civile del consulente d’ufficio di maggiore attualità15. 12 Non da ultimo, la stessa qualifica di pubblico ufficiale che il consulente riveste nell’espletamento delle sue funzioni, testimonia ulteriormente della delicatezza del ruolo e delle responsabilità coinvolte (ex multis, Cass. civ., sez. III, 10 agosto 2004, n. 15411). 13 Secondo App. Genova, sez. I, 23 ottobre 2006 l’imperizia non è mai fonte di responsabilità ex art. 64 c.p.c., www.plurisonline.it. 14 Centonze, Scienza “spazzatura” e scienza “corrotta” nelle attestazioni e valutazioni dei consulenti tecnici del processo penale, Riv. it. dir. e proc. pen., 2001, IV, 1232 15 Catalano-Gianfelice, La responsabilità professionale del consulente tecnico d’ufficio, atti del convegno di medicina legale previdenziale, www.inail.it. Oggetto delle presenti note saranno quindi i punti nodali del tema in oggetto: (a) l’art. 64 c.p.c., ed il grado di colpa, (b) la natura della responsabilità, contrattuale o aquiliana, (c) il nesso di causalità tra condotta del perito e danno subito dalla parte, (d) i danni risarcibili, (e) i rapporti con il giudizio nel cui ambito è stata svolta la c.t.u., per finire con le conclusioni. L’ART. 64 C.P.C. ED IL GRADO DI COLPA. Un primo aspetto da approfondire riguarda il grado di colpa necessario per fondare la responsabilità civile del c.t.u., vista la peculiare formulazione dell’art. 64 c.p.c. che costituisce la disposizione cardine della responsabilità del perito d’ufficio. Tale norma prevede, al primo comma, l’applicazione al consulente tecnico delle disposizioni penali relative ai periti, al secondo comma affianca alla responsabilità per delitto (ex art. 373 c.p.) una responsabilità a titolo contravvenzionale per tutti i casi in cui il consulente incorra in colpa grave nell’esecuzione dell’incarico, per poi disporre, all’ultimo periodo del secondo comma «In ogni caso è dovuto il risarcimento dei danni causati alle parti». Questa disposizione ha dato adito a divergenti interpretazioni in ordine alla necessità o meno della colpa grave per ravvisare una responsabilità civile del c.t.u. Secondo una prima teoria, più restrittiva, il c.t.u. risponderebbe solo Fascicolo n. 1/2016 www.ilforomalatestiano.it Pag. 4 di 13 in caso di dolo o colpa grave16, non in caso di colpa lieve. Si argomenta infatti che l’ultimo periodo del secondo comma sia così collegato al primo che anche a tale ipotesi si estenderebbe la limitazione alla colpa grave17, conclusione ritenuta coerente con il sistema. L’argomento di ordine sistematico si basa su una assimilazione dell’attività del c.t.u. a quella del giudice, il quale a sua volta, in base alla l. 13 aprile 1988, n. 11718, risponde, oltre che per denegata giustizia, solo per dolo e colpa grave19. 16 Andrioli, Commento al codice di procedura civile, I, Napoli, 1954, 190-191, la cui tesi è stata ripresa in molta dottrina successiva; per esempio, Giorgetti, sub art. 64 c.p.c., Comoglio-Vaccarella (a cura di) Codice di procedura civile commentato, Torino, 2010. 17 Secondo Trib. Bologna, 7 novembre 1994, Foro it., 1995, I, 2998, trattasi di ipotesi di risarcimento danni da reato. L’art. 64 c.p.c. prevede esplicitamente una sanzione penale per il c.t.u. «che incorre in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti». La stessa norma nella sua ultima parte prevede poi che «in ogni caso è dovuto il risarcimento dei danni causato alle parti». 18 Anche dopo la recente novella di cui alla l. 27 febbraio 2015 n. 18, che ha lasciato immutata, sotto tale profilo, la disposizione centrale dell’art. 2. Tale norma, dopo aver precisato che non può dare luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto o delle prove, fa un elenco di casi di colpa grave: a) grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile b) l’affermazione determinata da negligenza inescusabile di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento d) l’emissione di un provvedimento concernente la libertà personale fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione. 19 L’art. 2 della l. 117 del 1988, dopo aver precisato che non può dare luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto o delle prove, fa un elenco di casi di colpa grave: Secondo tale impostazione il grado di complessità dell’incarico, con conseguente limitazione di responsabilità ex art. 2236 c.c.20, perde quindi di rilievo. Secondo altra impostazione, la responsabilità in oggetto non subisce alcuna limitazione e quindi il c.t.u., come qualunque professionista, risponde anche in caso di colpa lieve. Questa ermeneutica valorizza l’elemento letterale, l’inciso «in ogni caso» con cui si apre il secondo periodo del secondo comma, che contribuisce a sganciare la responsabilità civile dai presupposti di quella penale, quindi a prescindere dalla colpa grave. Ad avviso di chi scrive la seconda interpretazione, che consente di configurare una responsabilità del perito anche in caso di colpa lieve, appare preferibile. Già da un punto di vista formale, tale opzione è suffragata dal raffronto tra l’attuale versione dell’art. 64 c.p.c. e quella previgente21 (anteriore alla e) grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile f) l’affermazione determinata da negligenza inescusabile di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento g) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento h) l’emissione di un provvedimento concernente la libertà personale fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione. 20 L’art. 2236, c.c. (rubricato “Responsabilità del prestatore d’opera”) prevede infatti che «Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o di colpa grave». 21 Il comma 2, disponeva testualmente «in ogni caso, qualora il consulente tecnico incorra in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti, è Fascicolo n. 1/2016 www.ilforomalatestiano.it Pag. 5 di 13 novella di cui alla l. 4 giugno 1985 n. 281), raffronto che lascerebbe proprio intendere che le due responsabilità, civile e penale, si basano, quanto al grado di colpa, su presupposti autonomi. Del resto spesso accade che la responsabilità penale abbia fondamenti (quanto all’elemento soggettivo) del tutto diversi dalla responsabilità civile e quindi il fatto che la prima presupponga la colpa grave non ha nessuna influenza sui criteri di imputabilità della seconda. A ciò si aggiunga che in materia di responsabilità extracontrattuale (categoria a cui si suole ascrivere la responsabilità che stiamo esaminando, ma su cui infra) il principio generale codificato all’art. 2043 c.c. è proprio di segno contrario, nel senso che qualunque fatto colposo (anche se compiuto con colpa lieve) obbliga il suo autore al risarcimento del danno. Lo stesso è a dirsi della responsabilità contrattuale. Ogni limitazione di responsabilità costituisce quindi una eccezione, deve essere di stretta interpretazione e non è applicabile in via analogica. Una ricostruzione nei suddetti termini esclude, ovviamente, la paventata applicazione analogica ai c.t.u. della disciplina sulla responsabilità civile dei magistrati. Tale disciplina, d’altra parte, trova fondamento in esigenze di indipendenza ed autonomia della delicata funzione della magistratura, in attuazione di principi di rango costituzionale (artt. 101 e 104 Cost.), condannato dal giudice a una pena pecuniaria non superiore a lire ventimila. Egli è inoltre tenuto al risarcimento dei danni causati alle parti». ma analoghe esigenze non possono ravvisarsi nell’attività dei c.t.u. e comunque nessun dato testuale depone in tal senso. In sintesi sembra più convincente la seconda teoria e cioè quella per cui il c.t.u. risponderebbe civilmente dei danni causati nell’esercizio della sua attività anche in caso di colpa lieve. LA NATURA DELLA RESPONSABILITÀ DEL C.T.U. E L’EVENTUALE APPLICAZIONE DELL’ART. 2236 C.C. Un secondo aspetto decisivo del tema oggetto di indagine riguarda la collocazione della ipotetica responsabilità del perito d’ufficio nell’alveo della responsabilità contrattuale o aquiliana. Come è noto, la questione riveste notevole rilevanza pratica e non solo teorica, viste le importanti ricadute derivanti da una piuttosto che dall’altra qualificazione. Ci riferiamo all’onere di allegazione e di prova (presunzione relativa di colpa a carico del debitore in ambito contrattuale ex art. 1218 c.c.), al termine di prescrizione (ordinario decennale in materia contrattuale e quinquennale in materia aquiliana), all’estensione dei danni risarcibili (limitazione del risarcimento ai danni prevedibili ex art. 1225 c.c. non applicabile alla responsabilità extracontrattuale) nonché infine alla costituzione in mora (non necessaria, ex art. 1219 c.c., in caso di fatto illecito). Parte della dottrina e tutta la giurisprudenza ricostruiscono la fattispecie in termini di responsabilità Fascicolo n. 1/2016 www.ilforomalatestiano.it Pag. 6 di 13 extracontrattuale22, atteso che il rapporto che lega il c.t.u. alle parti del processo non ha nulla a che fare con quello che lega le parti di un contratto. Il c.t.u. riceve il proprio incarico non dalle parti, ma unicamente dal giudice. Solo il giudice è creditore della prestazione professionale del c.t.u. Dalla mancanza di rapporto contrattuale si ritiene debba discendere anche l’impossibilità di applicare la limitazione di responsabilità prevista dall’art. 2236 c.c. per il contratto di prestazione d’opera professionale. Altra dottrina ritiene invece applicabile la c.d. responsabilità “da contatto sociale”, ovvero quell’orientamento giurisprudenziale che cerca di estendere i principi codicistici dettati in materia contrattuale anche a rapporti che, pur non avendo tale fonte genetica, tuttavia hanno un contenuto del tutto analogo a quello contrattuale. Per usare le parole di Gazzoni, quando vi sia relazione tra due o più consociati «alla ingerenza nell’altrui sfera giuridica deve fare riscontro la nascita di un vincolo che va al di là del semplice neminem laedere, dovendosi collaborare al fine di realizzare le aspettative ingenerate nella controparte dall’avvenuta ingerenza (c.d. responsabilità da affidamento)23 ». 22 Si veda per esempio l’obiter dictum in Cass., sez. I, 21 ottobre 1992, n. 11474. «L’art. 64, comma 2, c.p.c. disciplina, sia per l’aspetto civilistico che per quello penalistico, la responsabilità del consulente tecnico che incorre in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti, ha riguardo, cioè, sotto il profilo civilistico, alla responsabilità aquiliana per fatto illecito del consulente». In questo senso anche Trib. Rimini, 29 giugno 2004, n. 1298. 23 Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2011, 860. Ad avviso di chi scrive questa è l’ipotesi che merita maggior credito, risultando invece agevolmente superabili le obiezioni sollevate in senso contrario a tale ricostruzione. La giurisprudenza attribuisce natura contrattuale all’obbligazione risarcitoria in tutti in casi in cui, pur non essendovi un preesistente contratto tra danneggiante e danneggiato, l’evento si colloca però in un ambito di esercizio di attività che ha messo le parti in contatto tra loro e soprattutto l’eventuale danno scaturisce, in ipotesi, dalla mancata osservanza di doveri tipici dell’attività professionale svolta dal danneggiante. Con l’espressione “contatto sociale” ci si riferisce all’esistenza di un rapporto socialmente apprezzabile e quindi giuridicamente rilevante pur in assenza di un contratto, detto anche “rapporto contrattuale di fatto”. Ebbene, anche nel caso della c.t.u., se è vero che le parti processuali non hanno un rapporto contrattuale con il consulente, esse tuttavia hanno, oltre che l’obbligo di retribuirlo, anche un legittimo interesse alla correttezza e diligenza del suo adempimento all’incarico, interesse che non solo non è dissimile a quello che ha la parte del contratto in senso proprio, ma è addirittura degno di ancora maggior tutela se consideriamo la delicatezza delle funzioni svolte dal c.t.u. ed alla rilevanza pubblicistica delle stesse. E qui vengono in rilievo le motivazioni addotte dalla corte di legittimità per giustificare la applicazione della responsabilità da contatto sociale al medico ospedaliero, con tutti i conseguenti corollari di Fascicolo n. 1/2016 www.ilforomalatestiano.it Pag. 7 di 13 favore che ciò comporta per la parte danneggiata quanto a termini di prescrizione, onere di allegazione e di prova24. Anche il c.t.u. entra in contatto con le parti nello svolgimento di una attività di rilevanza pubblica, una attività per cui è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, ed ha ad oggetto un bene costituzionalmente garantito, collaborando con l’amministrazione della giustizia. Anche nel caso del c.t.u., il soggetto (parte del processo) che subisce un danno per violazione dei doveri specifici del perito non può considerarsi alla stregua di un extraneus, solo per il dato formale dell’assenza di vincolo contrattuale. Una volta ricondotta la responsabilità del c.t.u. all’ambito contrattuale cadrebbero anche le obiezioni all’applicazione al tema della responsabilità del c.t.u. della limitazione di cui all’art. 2236 c.c. che - lo ricordiamo - comporta la esclusione della responsabilità del prestatore d’opera in caso di colpa lieve qualora (ma solo in questo caso) la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà. 24 Come è noto l’espressione contatto sociale è apparsa per la prima volta in una sentenza del 1999 (Cass., sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589, Danno e Resp., 1999, 299). Con questa pronuncia la Cassazione, richiamandosi alla dottrina e giurisprudenza tedesche, ha riconosciuto la possibilità di rinvenire una responsabilità contrattuale anche in assenza di contratto. Dalla responsabilità medica il principio si è poi esteso in altri ambiti, quali la responsabilità del precettore verso il minore a lui affidato (Cass. sez. un. 27 giugno 2002, 9346), della P.A. per violazione di regole procedimentali ex lege 241/1990 (Cass. sez. un. 22 luglio 1999, 500), della banca per pagamento in violazione della legge assegni (Cass. sez. un. 26 giugno 2007, 14712) del mediatore (Cass. sez. III 14 luglio 2009, n. 16382). IL NESSO DI CAUSALITÀ TRA CONDOTTA DEL C.T.U. E DANNO SUBITO DALLA PARTE. La tendenza a limitare il più possibile la responsabilità del c.t.u. trova anche altri argomenti, che valorizzano l’intima connessione dell’attività del giudice con quella del c.t.u. Il riferimento è alla tesi secondo la quale se anche si fosse in presenza di una prestazione d’opera del c.t.u. caratterizzata da colpa, non vi può mai essere nesso di causalità tra una tale condotta e qualsivoglia danno della parte, in quanto l’operato del c.t.u. è sottoposto al vaglio critico del giudice. Quindi mai si può ipotizzare una responsabilità del c.t.u. per esito negativo di un processo, in quanto l’intervento del giudice interrompe il nesso di causalità. Fondamento decisivo della idea della esclusione del nesso causale (in caso di condanna basata sulla perizia erronea) è il principio del peritus peritorum25, secondo il quale nel nostro ordinamento è consentito al giudice di merito valutare la complessiva attendibilità delle relazioni peritali e se del caso disattenderne le conclusioni. In tal modo il giudice si assume la responsabilità esclusiva del processo. L’attività del c.t.u. avrebbe valenza soltanto endoprocessuale, mentre ogni effetto esterno dipenderebbe dall’attività del giudice26. 25 Ex multis C. St., sez. VI, 9 febbraio 2015, n. 627. 26 Plenteda, La responsabilità civile del consulente tecnico d’ufficio, cit., 366. Fascicolo n. 1/2016 www.ilforomalatestiano.it Pag. 8 di 13 Per vagliare le ricadute pratiche di tale impostazione verifichiamone l’applicazione in concreto, su casi pratici. Facciamo l’ipotesi che un c.t.u. compia una valutazione dell’operato professionale di un collega ingegnere, ravvisando il mancato rispetto delle leggi dell’arte. Qualora il professionista venisse condannato al risarcimento dei danni derivanti dal proprio errore professionale, vi sarebbe una interruzione del nesso causale ad opera dalla sentenza del giudice. Poiché infatti è la sentenza, come atto del giudice, che condanna l’ingegnere al risarcimento del danno, la responsabilità sarebbe tutta del giudice, il quale ben avrebbe potuto (o addirittura dovuto) disattendere le conclusioni (erronee) del c.t.u. Se, quindi, il giudice fa proprie le conclusioni del c.t.u., se ne assume la esclusiva responsabilità, così sganciando l’eventuale danno dall’operato del c.t.u. Qualora il professionista venisse assolto, perché il giudice disattende la perizia, la reiezione della domanda dell’attore contro l’ingegnere convenuto in giudizio civile escluderebbe in radice qualsivoglia danno, nonostante la c.t.u. avesse fornito elementi su cui si sarebbe, invece, potuta fondare la responsabilità del professionista citato in giudizio. L’esempio rende evidenti le possibili critiche a cui soggiace tale teoria di esclusione del nesso di causalità. In primo luogo, si deve evidenziare che anche qualora l’operato del c.t.u. non incida sull’esito finale del processo (o meglio incida solo in modo mediato attraverso la decisione del giudice), esso potrebbe tuttavia pesantemente incidere sulla sua durata, nonché sulla complessità delle attività che le parti devono sobbarcarsi per fare accertare una mancanza di responsabilità invece erroneamente ritenuta da parte del consulente d’ufficio. Già solo da tali elementi potrebbe scaturire una responsabilità del c.t.u., senza che la decisione finale del giudice possa interrompere il nesso di causalità. In secondo luogo, tale impostazione, se può essere in parte appropriata per la c.t.u. deducente non può esserlo in alcun modo per la c.t.u. percipiente 27. Ricordiamo che la c.t.u. deducente è quella in cui l’ausiliario del giudice è chiamato a valutare i fatti di causa secondo massime di esperienza o leggi scientifiche. Si tratta cioè di un’attività di valutazione, secondo un criterio logico-razionale, della prova già offerta dalle parti ed acquisita agli atti. Al contrario, la c.t.u. percipiente si ha quando il consulente è chiamato ad accertare dei fatti, non altrimenti accertabili se non con l’ausilio di certe conoscenze scientifiche ovvero di certi strumenti tecnici. In questo secondo caso la consulenza assurge a vera e propria fonte obiettiva di prova. Attraverso di essa entrano nel processo fatti non altrimenti dimostrabili. Un esempio può essere quello delle c.t.u. in materia 27 Si veda Ansanelli, sub art. 191, Consolo (a cura di) Codice di procedura civile commentato, La riforma del 2009, Milano, 2009, 163. Fascicolo n. 1/2016 www.ilforomalatestiano.it Pag. 9 di 13 di isolamento acustico degli edifici e del superamento dei limiti previsti in materia dalla normativa tecnica. Nel caso della c.t.u. percipiente appare difficile ipotizzare che il giudice vada di diverso avviso rispetto alle conclusioni del c.t.u. Al di là del fatto che qui l’opera del perito è caratterizzata da un ampio grado di autonomia scientifico-culturale28, per disattendere le sue conclusioni il giudice dovrebbe reiterare gli accertamenti posti in essere con strumentazione e bagaglio tecnico specifici. Se infatti nel caso di c.t.u. deducente il giudice potrebbe avvedersi delle incongruenze logicomotivazionali dell’operato del perito che potrebbero emergere dalla relazione, molto più difficile è, nel caso di c.t.u. percipiente, che dalla lettura dell’elaborato peritale siano evincibili eventuali errori verificatisi nella fase della raccolta dei dati scientifici attraverso macchinari specialistici. Per esempio, se il c.t.u. ha verificato che dei micropali sono stati mal realizzati, per presumibile scarsa pressione durante l’iniezione e quindi l’intervento per stabilizzare un fabbricato non è stato utilmente eseguito, è evidente che il giudice è quasi nell’impossibilità di disattendere tale valutazione, non avendo né la formazione né gli strumenti per apprezzarne la correttezza o meno. Alla luce delle suesposte considerazioni l’idea che il provvedimento del giudice si ponga come elemento sempre interruttivo del 28 Si veda Introna-De Donno, La responsabilità del perito/ctu nei procedimenti per colpa medica, www.ordinemedicilatina.it. nesso causale tra danno ed operato del c.t.u. ci sembra non aderente alla realtà delle dinamiche processuali e quindi non idonea ad escludere la responsabilità del c.t.u. in una ampia serie di casi. QUALI SONO I DANNI RISARCIBILI E’ stato scritto da autorevoli autori che l’art. 64 c.p.c. avrebbe scarsa utilità pratica a causa della particolare difficoltà di dimostrare il danno derivante dalla c.t.u. erronea29. Tale affermazione è stata poi ripresa dalla dottrina successiva, ma forse spesso solo in modo acritico e tralatizio. A nostro avviso tali presunte difficoltà sono state, probabilmente, sovrastimate. Numerosi sono al contrario i danni riconducibili all’operato del c.t.u., a prescindere dal caso particolare del diritto alla ripetizione del compenso versato al c.t.u. per una consulenza poi dichiarata nulla, nel qual caso si ritiene che l’obbligo del c.t.u. di restituire l’acconto ricevuto abbia natura restitutoria e non risarcitoria. La nullità della c.t.u. fa venire meno il presupposto stesso del compenso pagato al perito, vertendosi così in un caso di indebito oggettivo30. Per esempio alcune ipotesi possono essere tratte dalla giurisprudenza ex art. 96 c.p.c. cioè dei danni da lite temeraria: il ritardo con cui è stata accolta la domanda della parte, in conseguenza della necessità di rinnovare la consulenza infedele o 29 Andrioli, Commento al codice di procedura civile, I, Napoli, 1954, 190-191. 30 Cass., sez. I, 21 ottobre 1992, n. 11474, Giust. Civ. Mass., 1992, fasc. 10. Fascicolo n. 1/2016 www.ilforomalatestiano.it Pag. 10 di 13 erronea, le spese sostenute per adottare provvedimenti ritenuti indifferibili da una consulenza erronea (es. messa in sicurezza di un fabbricato), le spese sostenute per dimostrare l’erroneità della c.t.u., le cosiddette spese non ripetibili, quelle cioè che l’avvocato non può indicare nella nota spese a fine causa, per esempio le spese stragiudiziali, ovvero il maggior costo di un consulente di livello nazionale o internazionale, o comunque fuori sede, il cui operato si sia reso necessario per contrastare il risultato di una c.t.u. erronea. Ancora, il tempo impiegato dalla parte e quindi distratto dalle sue normali occupazioni per reperire documenti e in genere per coadiuvare il proprio difensore nell’attività istruttoria per l’approntamento della difesa, il danno da discredito commerciale o professionale, il danno morale consistente nella sofferenza d’animo per effetto dell’illecito. Altri casi potrebbero verificarsi quando una c.t.u. erronea offra elementi per ottenere un sequestro contro il costruttore di un immobile per presunta responsabilità nei difetti costruttivi, ovvero una perizia descriva i bilanci di una società come indici della decozione cioè della insolvibilità della stessa, e da queste c.t.u. siano derivati provvedimenti cautelari. In tali casi tra i danni ascrivibili alla responsabilità del c.t.u. vi possono essere gli oneri sostenuti per procurarsi beni sostitutivi di quelli sequestrati oppure l’impossibilità di accedere a finanziamenti a causa della trascrizione del sequestro. * Ovviamente, qualora si restasse legati alla tesi della natura meramente endoprocessuale dell’attività del c.t.u., secondo la quale il nesso di causalità tra tali danni ed il comportamento del c.t.u. sarebbe escluso dal provvedimento del giudice, nessuno dei suddetti casi potrebbe portare alla affermazione di responsabilità del c.t.u. Ma abbiamo visto sopra le ragioni per cui tale tesi potrebbe essere disattesa. In ogni caso lo stesso ostacolo non sussisterebbe, neppure in astratto, con riferimento a casi in cui l’attività professionale del c.t.u. produca un danno diretto alla sfera giuridica della parte del giudizio. Si pensi a quando nel corso delle indagini peritali si siano verificati danni alla persona o ai beni oggetto della perizia, ovvero il perito smarrisca documenti a lui affidati. * Ritornando alla giurisprudenza in materia di responsabilità da lite temeraria ex art. 96 c.p.c., dalla stessa possono derivare utili spunti in materia di prova del danno. In particolare il Tribunale di Firenze31 ha affermato che tale difficoltà probatoria può essere superata ricorrendo alla giurisprudenza italiana in materia di Legge Pinto sulla violazione della ragionevole durata del processo, con i correlativi parametri di commisurazione del risarcimento. Come ha scritto con chiarezza il Tribunale fiorentino, se nel caso di eccessiva durata del processo il risarcimento è dovuto solo per la parte di processo eccedente quello ragionevole, fissato in primo grado in tre anni, nel caso di «processo che non 31 Trib. Firenze, sez. II, 19 giugno 2008, Juris Data. Fascicolo n. 1/2016 www.ilforomalatestiano.it Pag. 11 di 13 aveva ragione d’essere in toto, quindi eccessivo nell’intera sua durata» tale limitazione temporale non appare motivata e quindi il risarcimento potrebbe estendersi alla intera durata del processo. Tale principio potrebbe per esempio trovare applicazione nel caso di una relazione peritale in sede di accertamento tecnico preventivo, sul cui fondamento sia stato poi radicato un lungo processo di merito, all’esito del quale si accerti che le conclusioni a cui era giunta la relazione peritale preventiva non avevano alcun fondamento. Ovvero, ancora, nel caso di una c.t.u. erronea, per esempio in materia grafologica, che abbia reso necessario l’esperimento di una querela di falso in via incidentale, procedimento il quale, in quanto causa autonoma con tre gradi di giudizio, ha notevolmente allungato i tempi del processo in cui è stata svolta la perizia. Sempre la stessa pronuncia del tribunale di Firenze ribadisce che «il riconoscimento del processo come causa di ansia, di stress, e di dispendio di tempo ed energie suscettibile di dar luogo a risarcimento delle parti che lo abbiano irragionevolmente subito è da ritenere principio d’ordine costituzionale immediatamente precettivo»32. Tale ultima precisazione ci offre l’occasione di constatare come le varie fattispecie di responsabilità della parte per lite temeraria ex art. 96 c.p.c., quelle del c.t.u. per perizia erronea e quelle dello Stato per eccessiva durata del processo, al di là delle evidenti 32 Cfr. Cass., sez. un., 23.12.2005, n. 28507. differenze, abbiano però un comune denominatore. Si tratta infatti di tutti casi in cui una parte subisce un danno per un processo che in qualche modo ha avuto un andamento e/o un esito patologico, non ha cioè risolto una lite in tempi ragionevoli e con risultati conformi a giustizia. In tutte tali fattispecie i danni lamentati trovano quindi fondamento in una distorsione del processo. Tale constatazione bene potrebbe giustificare una parziale generalizzazione dei principi, di creazione pretoria, in materia di onere della prova, a prescindere dal fatto che la causa principale della distorsione processuale sia rinvenibile nella responsabilità delle parti, del c.t.u., del singolo giudice ovvero del “sistema giustizia” nel suo complesso. RAPPORTI DELL’AZIONE CONTRO IL PERITO CON IL GIUDIZIO IN CUI SI È SVOLTA LA C.T.U.: CONDIZIONE PRELIMINARE DI PROCEDIBILITÀ? Un ultimo aspetto merita un breve cenno. Ci si è infatti interrogati se la previa conclusione del giudizio in cui si è svolta la c.t.u. costituisca o meno condizione preliminare di procedibilità dell’eventuale azione contro il perito. L’unico precedente edito in materia è quello del Tribunale di Bologna in data 7 novembre 1994 (Foro it., 1995, parte I, 2998). Secondo tale pronuncia la previa definizione del giudizio in cui sono stati svolti gli accertamenti peritali non costituisce condizione di procedibilità. Argomenta Fascicolo n. 1/2016 www.ilforomalatestiano.it Pag. 12 di 13 infatti giustamente il tribunale felsineo che ben può accadere che una perizia erronea non abbia alcuna incidenza sull’esito del processo in quanto il giudice ne disattenda le conseguenze. Non solo. Nella causa in cui si è svolta la c.t.u. non si discute della colpa del perito, che peraltro non è parte nel processo e quindi non si potrebbe in esso difendere, né la parte danneggiata ha strumenti propri per attaccare la c.t.u. Conseguentemente la sentenza che verrà emessa tra le parti del processo non fa in alcun modo stato nei confronti del c.t.u. Alla luce di tali convincenti considerazioni il Tribunale di Bologna ha ritenuto che la conclusione del giudizio in cui è stata svolta la c.t.u. non costituisce condizione di procedibilità. Tale conclusione appare condivisibile, anche alla luce del principio costituzionale della giusta durata del processo. Infatti, se ai tempi necessari per fare accertare la responsabilità del c.t.u. si dovesse sommare il tempo necessario per concludersi con il giudicato (attraverso tre potenziali gradi di giudizio) anche la causa in cui tale perizia è stata svolta, i tempi si dilaterebbero in modo davvero straordinario ed intollerabile. CONCLUSIONI. I precedenti editi in materia sono pochi, il che verosimilmente appare dovuto alla diffusa opinione secondo la quale sarebbe in concreto difficile fare valere una azione di responsabilità contro i periti d’ufficio. Al contempo, le argomentazioni teoriche che hanno in parte giustificato tale convinzione non escono facilmente indenni da un attento vaglio critico. Ci riferiamo a tutti gli elementi più rilevanti, a partire dalla (presunta) univoca riconducibilità della responsabilità in esame all’alveo extracontrattuale (con tutto quanto sopra evidenziato in merito alle conseguenze pratiche di sfavore per la parte danneggiata) passando per la limitazione della responsabilità ai soli casi di colpa grave, fino alla esclusione del nesso di causalità tra condotta del c.t.u. ed eventuali danni sofferti dalla parte ad opera del provvedimento del giudice. Lo scopo del presente scritto non è ovviamente quello di suggerire una proliferazione delle azioni contro i periti d’ufficio, ma solo quello di condividere alcuni spunti di riflessione sul possibile superamento delle ragioni che hanno giustificato una quasi esenzione di fatto da tale responsabilità nella prassi dei nostri tribunali, visto l’evidente interesse dell’utente del c.d. servizio giustizia di evitare che casi di sicura violazione di doveri professionali da parte del c.t.u. possano godere di una immunità derivante più da tesi tramandate in via tralatizia che da veri ostacoli normativi. Tra le possibili ragioni del self restraint degli avvocati vi può essere, oltre ad una sorta di colleganza intesa in senso lato con i periti d’ufficio, che calcano le stesse aule d’udienza, anche la volontà di evitare ricadute analoghe a quelle riscontrate in materia di responsabilità medica - ove si ritiene che l’eccesso di responsabilità abbia determinato un circolo vizioso andando Fascicolo n. 1/2016 www.ilforomalatestiano.it Pag. 13 di 13 da un lato a gravare in definitiva sul bilancio pubblico e dall’altro dando vita al c.d. fenomeno della medicina difensiva. Ma ciò non necessariamente deve giungere fino ad escludere (di fatto) da ogni possibile responsabilità civile professionisti che svolgono un ruolo decisivo nel contenzioso, che devono essere adeguatamente selezionati al momento dell’incarico e retribuiti al termine di esso, e che devono quindi essere consapevoli della delicatezza del ruolo rivestito e delle conseguenti responsabilità.
Informazioni su: ForoMalatestiano
Messaggi recenti: ForoMalatestiano
Recenti commenti ForoMalatestiano
Nessun commento da parte ForoMalatestiano ancora.